Pessimo clima in casa: la moglie tollera il rapporto carnale voluto dal marito, che perciò viene condannato

La donna ha soggiaciuto all’imposizione del rapporto sessuale solo a causa di un grave timore per la propria incolumità fisica o addirittura per la propria vita

Pessimo clima in casa: la moglie tollera il rapporto carnale voluto dal marito, che perciò viene condannato

Il pessimo clima in casa spinge la moglie a tollerare il rapporto carnale voluto dal marito: si può ipotizzare la violenza sessuale. Questa la chiave di lettura fornita dai giudici (sentenza numero 38909 del 24 ottobre 2024 della Cassazione) a fronte della delicata vicenda loro sottoposta e decisa sorprendentemente in secondo grado con una pronuncia assolutoria favorevole all’uomo finito sotto accusa. Riflettori puntati sulla situazione da incubo vissuta a casa da una donna, sottoposta a continue vessazioni per mano del marito e, in un’occasione, obbligata dall’uomo ad avere un rapporto sessuale. Quest’ultimo episodio viene denunciato alle forze dell’ordine e fa finire l’uomo sotto processo con l’accusa di violenza sessuale ai danni della consorte. Per i giudici di secondo grado, però, dal narrato della persona offesa non emerge il suo dissenso agli atti sessuali subiti e, di conseguenza, sussiste il dubbio sulla consapevolezza dell’uomo di agire in assenza del consenso della moglie. A impugnare in Cassazione tale decisione è la Procura, che addebita ai giudici di secondo grado palesi illogicità. Ciò perché non si è considerato che la donna aveva soggiaciuto, all’epoca, all’imposizione del rapporto sessuale solo a causa di un grave timore per la propria incolumità fisica o addirittura per la propria vita, in quanto la condotta dell’uomo si era inserita in un contesto fortemente vessatorio che aveva ridotto la donna in una condizione di paura e di angoscia ed assoluta prostrazione. Questo quadro non può essere ignorato, poiché, ricorda la Procura, in tema di reati sessuali, il dissenso della vittima può essere esplicito o implicito, espresso o tacito e non è necessaria l’esteriorizzazione del dissenso attraverso una resistenza attiva, in quanto il consenso deve ritenersi invalido quando l’atto sessuale è realizzato approfittando della situazione di difficolta o dello stato di diminuita resistenza in cui versa la vittima. Per i giudici di Cassazione è palese la solidità dell’obiezione sollevata dalla Procura. E proprio alla luce del «contesto vessatorio in cui si inseriva la consumazione degli atti sessuali, contesto caratterizzato da reiterate minacce, offese e umiliazioni poste in essere dall’uomo nei confronti della moglie, nonché del comportamento totalmente succube, e teso solo a calmare il marito, tenuto dalla donna al momento dei fatti. Peraltro, proprio la donna ha riferito di aver subito gli atti sessuali ed un rapporto completo non consenziente solo per paura, a suo dire, che il marito potesse ucciderla. Evidente l’errore compiuto in secondo grado, poiché lì i giudici hanno affermato che del dissenso della donna, della sua opposizione agli atti sessuali tutti, non vi è traccia nel suo stesso racconto, pur avendo, però, essi riconosciuto che i fatti andavano ad inserirsi nelle mortificazioni che l’uomo infliggeva alla moglie, quasi a punirla per il tradimento da lui subito. Impossibile, quindi, nella valutazione della posizione dell’uomo, ignorare le modalità della condotta, il contesto familiare e la volontà della donna.

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