Rendiconto del curatore: possibile negare l’approvazione se vi è un pregiudizio potenziale per fallito o creditori

Non necessaria, invece, precisano i giudici, la prova del danno effettivamente concretizzatosi

Rendiconto del curatore: possibile negare l’approvazione se vi è un pregiudizio potenziale per fallito o creditori

A legittimare la mancata approvazione del rendiconto del curatore fallimentare è sufficiente la dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio almeno potenziale al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori. Non necessaria, invece, la prova del danno effettivamente concretizzatosi, ferma restando la possibilità, comunque, di valorizzare eventuali danni concreti già prodottisi per corroborare la decisione di diniego dell’approvazione del rendiconto.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 30216 del 16 novembre 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso relativo al rendiconto presentato dal curatore dimissionario del fallimento di una società per azioni.
Per i giudici di merito è legittima la non approvazione del rendiconto, a fronte dell’esistenza di una serie di condotte di mala gestio, caratterizzate da un potenziale danno.
Questa valutazione è condivisa in pieno dai magistrati di Cassazione, i quali ricordano che il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, alla luce della legge fallimentare, la verifica contabile e l’effettivo controllo di gestione, cioè la valutazione della correttezza dell’operato del curatore, della sua corrispondenza ai precetti legali e ai canoni di diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica e degli esiti che ne sono conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza di pregiudizio, almeno potenziale, recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando altrimenti un interesse idoneo a giustificare l’impugnazione del rendiconto stesso, mentre non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della dedotta mala gestio. Le contestazioni rivolte a tale rendiconto debbono a loro volta essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente le vicende e i comportamenti in relazione ai quali il soggetto legittimato imputa al curatore di essere venuto meno ai propri doveri, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del diritto di difesa del curatore cui gli addebiti siano rivolti.
Ciò ribadito, va poi ricordato che la legge fallimentare subordina la liquidazione del compenso del curatore all’approvazione del rendiconto. La lesione dei diritti soggettivi correlata al provvedimento di approvazione del conto appare così evidente: per il curatore, che non può chiedere la liquidazione (e l’erogazione) del compenso se il rendiconto di gestione non è approvato; per il fallito, che – ad approvazione non avvenuta – consegue che la parte di attivo destinata al curatore resti nella massa e sia distribuibile solo per i creditori; per i creditori, perché possono contare sul piano finale di riparto dell’attivo solo dopo che il rendiconto di gestione sia stato approvato (o sia definito il relativo giudizio), il che implica che anche la stabilità della distribuzione dipende dal giudicato su tale rendiconto.
In sostanza, il giudizio di rendiconto implica, innanzitutto, una valutazione vuoi dell’esattezza e dell’ordinata tenuta della contabilità gestionale, vuoi della diligenza nella gestione.
Ragionando in questa ottica, nella vicenda in esame si è escluso che la condotta del curatore dimissionario fosse stata improntata ai canoni di diligenza a cui egli era tenuto.
Su questo punto, poi, i magistrati di Cassazione precisano che la sufficienza del danno potenziale implica che debba prescindersi dalla verifica dell’impatto realmente pregiudizievole che le condotte del curatore hanno avuto, dovendosi semmai verificare, secondo una prospettiva ex ante, se le omissioni contestate avrebbero potuto, in astratto, determinare dei danni. Ciò significa che per l’accertamento del danno potenziale, sufficiente a non approvare il conto, si debba prescindere dal verificare necessariamente l’esistenza di danni effettivi, ma non che sia impedito al giudice del rendiconto, ai medesimi fini, di valorizzare i danni concreti che risultino essersi già prodotti. In altri termini, nel giudizio di rendiconto è necessaria la dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio almeno potenziale procurato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando in caso contrario un interesse idoneo a giustificare l’impugnazione del conto, mentre non occorre la prova del danno effettivo realizzatosi, la quale tuttavia, ove già raggiunta, corrobora e non certo pregiudica la negazione dell’approvazione.

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