Riconoscimento dell'assegno divorzile: irrilevanti le dazioni di denaro già ricevute

Il riferimento è all’assegno di mantenimento, al contributo al mantenimento della prole, durante la separazione, e, ancora, all’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario e collocatario della prole

Riconoscimento dell'assegno divorzile: irrilevanti le dazioni di denaro già ricevute

A fronte dei dubbi relativi ai criteri per il riconoscimento dell'assegno divorzile, si deve rilevare, sanciscono i giudici (ordinanza numero 22803 del 13 agosto 2024 della Cassazione) che l’assegno di mantenimento durante la separazione personale dei coniugi, ovvero il contributo al mantenimento della prole, durante la separazione, ovvero, ancora, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario e collocatario della prole non possono essere ritenuti indici di una già avvenuta compensazione da parte di un coniuge, in sede divorzile, per riconoscimento del contributo dato dall’altro coniuge durante la vita matrimoniale. Difatti, tali dazioni sono collegate o ai presupposti dell’assegno di mantenimento nella separazione o risultano non destinate a incrementare il reddito del coniuge, essendo dettate e rivolte nell’interesse della prole, risolvendosi (l’assegnazione della casa) al più in un risparmio di spese. E, peraltro, siffatte elargizioni sono giustificate dalla natura dell’assegno di separazione che, a differenza di quello di divorzio, è finalizzato a consentire al coniuge economicamente più debole ed ai figli il mantenimento dello stesso tenore di vita tenuto prima della separazione, attesa la permanenza del vincolo coniugale. Ben diversi, invece, i parametri indicati dalla legge ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile. Per questo, è necessario  vagliato – anche alla stregua di elementi presuntivi – l’apporto dato dal coniuge alla formazione del patrimonio familiare dell’altro coniuge, sia sotto l’aspetto compensativo, per avere rinunciato a svolgere per diversi anni un’attività, e successivamente un’attività più lucrativa, sia sotto l’aspetto perequativo, per avergli consentito, dedicandosi in prevalenza alla casa e alla prole, un risparmio di spesa e la possibilità di svolgere appieno la sua attività lavorativa. Applicando questa visione alla vicenda oggetto del processo, i giudici di Cassazione mettono in discussione quanto stabilito in secondo grado, ossia la revoca dell’assegno divorzile riconosciuto ad una ex moglie – laureata, abilitata alla professione forense, cancellatasi però dall’albo professionale e poi, finalmente, assunta come lavoratrice dipendente con mansioni impiegatizie per un reddito mensile di circa 1.500 euro –, revoca poggiata su alcuni dati precisi: il matrimonio durato, sino al deposito del ricorso per separazione, soli sei anni; l’età della donna, neanche 40 anni, al momento della separazione e l’essere ella riuscita a reperire un’occupazione; il limitato  apporto da lei fornito al patrimonio personale del marito ed a quello familiare, essendosi ella soltanto dedicata alla cura della casa, con l’aiuto di una domestica, del marito e della figlia; la donna può usufruire di un immobile di pregio, di proprietà esclusiva del marito; l’uomo ha già versato, a titolo di assegno di mantenimento, al coniuge separato importi di elevato ammontare, dal 2017, ed è stato stabilito un contributo molto elevato in favore della figlia, contributo eccedente le ordinarie esigenze di una ragazzina di neanche 12 anni.

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