fumogeno acceso e lanciato sulla strada: condotta non sufficiente per una condanna
necessario, secondo i giudici, valutare meglio i dettagli dell’episodio per poterne misurare l’effettiva pericolosità

Non basta l’impiego di un fumogeno acceso, poi lanciato sulla pubblica via, per una condanna. Da provare in concreto, difatti, l’esistenza del delitto di accensioni pericolose, che ha natura di reato di pericolo concreto, sicché per la sua configurabilità è necessario accertare l’idoneità del mezzo utilizzato per provocare accensioni o esplosioni idonee a ledere la vita o l’incolumità delle persone. Rimessa così in discussione dai giudici (sentenza numero 36716 del 2 ottobre 2024 della Cassazione) la responsabilità penale attribuita ad un uomo – condannato in Appello ad undici giorni di arresto – che era stato beccato dalle forze dell’ordine mentre, in occasione di un presidio di solidarietà con i detenuti di una casa circondariale, presidio cui prendevano parte altre quattro o cinque persone, accendeva un fumogeno che poi lanciava in pieno giorno (ore 15 circa) verso le mura del menzionato istituto di pena, e, segnatamente, lungo un luogo pubblico generalmente interessato dal transito di ciclisti e pedoni. I magistrati partono da una premessa fondamentale: l’oggetto specifico della tutela penale è la polizia di sicurezza, concernente la prevenzione di talune specie di reati e, precisamente, delitti contro la vita e l’incolumità personale, dovendosi all’uopo impedire, data la pericolosità di determinate esplosioni o accensioni, che tali fatti siano compiuti da chiunque, senza speciale licenza dell’autorità. Il fatto, pertanto, tutela l’interesse dell’incolumità fisica delle persone, che è compromesso in modo ancor più grave, se avviene alla presenza di molte persone, ivi riunite per una manifestazione sulla pubblica via, presuppone la mancanza di licenza – per l’effettuazione di accensioni ed esplosioni – ed è punibile a condizione che esso sia compiuto in determinati luoghi. Quanto alla condotta materiale, l’indicazione contenuta nella norma, per quanto tassativa rispetto al genere (esplosioni o accensioni), è meramente esemplificativa. Di conseguenza, se la menzione dello sparo d’armi, o dell’accensione di fuochi d’artificio, o del lancio di razzi, o dell’innalzamento di aerostati con fiamme è specifica, è invece generica e comprensiva d’ogni possibile specie congenere quella delle altre esplosioni ovvero accensioni pericolose. Fondamentale, quindi, è l’accertamento della pericolosità in concreto della condotta. E tale requisito deve ritenersi riferito anche alle esplosioni o accensioni genericamente indicate dalla normativa. Per quanto concerne l’accensione di un fumogeno – che è cosa diversa dal fuoco d’artificio, poiché consiste in un oggetto la cui accensione crea fumo –, essa rientra nella categoria delle accensioni pericolose in genere, punibile – come ciascuna delle ipotesi esemplificate nella disposizione di legge – sempre che sussista il presupposto di fatto, ossia che si tratti di accensione per la quale è prevista la licenza della autorità, senza che il soggetto ne sia provvisto, e sempre che sia accertato il requisito della pericolosità per la vita o l’incolumità delle persone. In astratto, dunque, anche l’accensione di un fumogeno, in particolari condizioni (ad esempio distanza ravvicinata dalle persone, derivando il pericolo anche dalla respirazione dei relativi fumi) può essere lesiva dell’incolumità dei presenti, e dunque rientra nelle condotte vietate dalla norma. Tornando all’episodio oggetto del processo, però, i giudici osservano che si è, tra primo e secondo grado, solo evidenziato che la persona aveva acceso un fumogeno, senza descrivere la tipologia del fumogeno e il relativo fumo sprigionato. Per quanto concerne, poi, il luogo, pur dando atto che il fatto è avvenuto lungo una pubblica via, non si è fatto alcun riferimento all’eventuale contesto di assembramento ma, anzi, si è meramente richiamato il fatto notorio che quel luogo è frequentato da pedoni e ciclisti.