Mandato d’arresto emesso dal Regno Unito: l’inasprimento delle condizioni di liberazione condizionale non osta alla consegna della persona ricercata
Tale inasprimento non rappresenta, secondo i giudici l’irrogazione di una pena più grave di quella inizialmente applicabile

A fronte di un mandato d’arresto emesso dal Regno Unito, un inasprimento delle condizioni di liberazione condizionale non osta, in linea di principio, alla consegna della persona ricercata. Ciò perché tale inasprimento non costituisce, in linea di principio, l’irrogazione di una pena più grave di quella inizialmente applicabile. Questi i principi fissati dai giudici comunitari (sentenza del 3 aprile 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), chiamati a prendere in esame i dubbi sollevati dai giudici irlandesi in merito a quattro mandati d’arresto nei confronti di una persona sospettata di aver commesso reati connessi al terrorismo in Irlanda del Nord. Secondo il soggetto destinatario dei mandati d’arresto, però, la sua consegna sarebbe incompatibile con il principio di legalità dei reati e delle pene, e ciò a causa di una modifica sfavorevole delle norme sulla liberazione condizionale adottata dal Regno Unito dopo la presunta commissione dei reati a lui contestati. Per i giudici comunitari non ci sono dubbi: l’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione Europea deve esaminare se la consegna di una persona al Regno Unito in esecuzione di un mandato d’arresto possa ledere i diritti che tale persona trae dalla ‘Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea’, che vieta, in particolare, l’irrogazione retroattiva di una pena più grave. Al termine di tale esame, poi, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione potrà rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto soltanto se, dopo aver chiesto informazioni e garanzie ulteriori, dispone di elementi precisi e aggiornati che dimostrino che la persona potrebbe essere condannata a una pena più grave di quella inizialmente comminata alla data della presunta commissione del reato. Sul tavolo, poi, un ulteriore dubbio, cioè se il divieto, previsto dalla ‘Carta’, di infliggere una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato asseritamente commesso, comprenda l’ipotesi in cui siano state inasprite le condizioni di liberazione condizionale. Su questo fronte i giudici comunitari rispondono che una modifica in base alla quale il detenuto deve scontare almeno due terzi della pena prima di poter beneficiare di una liberazione condizionale, subordinata al fatto che un’autorità specializzata ritenga che il suo mantenimento in stato di detenzione non sia più necessario alla protezione della società, ma che preveda, in ogni caso, una siffatta liberazione condizionale un anno prima della fine della pena, non è considerata come irrogazione di una pena più grave, anche se il regime precedente consentiva una liberazione condizionale automatica dopo l’espiazione della metà della pena detentiva. Per i giudici, difatti, la circostanza che una modifica del regime di liberazione condizionale comporti un inasprimento della situazione di detenzione non deve necessariamente essere considerata come implicante l’irrogazione di una pena più grave. Tale considerazione deriva dalla separazione tra la nozione di pena, intesa come la condanna pronunciata o pronunciabile, da un lato, e quella di misure relative all’esecuzione o all’applicazione della pena, dall’altro. Nei limiti in cui le modifiche in questione non abrogano in sostanza la possibilità di una siffatta liberazione e non comportano un aggravamento della natura della pena comminata alla data della presunta commissione dei reati, la loro applicazione a reati commessi prima della loro entrata in vigore non viola il diritto fondamentale, garantito dalla ‘Carta’, di non vedersi infliggere una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato asseritamente commesso. Per i giudici, quindi, un regime come quello che sarebbe applicabile in caso di consegna della persona interessata al Regno Unito preserva la possibilità di una liberazione condizionale. Inoltre, la soppressione dell’obbligo di concedere automaticamente la liberazione condizionale a tale persona dopo che essa ha espiato la metà della pena detentiva non comporta un prolungamento della durata massima durante la quale detta persona potrebbe, in definitiva, essere posta in stato di detenzione, sempre secondo i giudici, anche tenendo presente che l’applicazione di un criterio relativo alla pericolosità della persona condannata al momento della sua possibile liberazione condizionale si ricollega, per sua natura, all’esecuzione della pena.