Si può impugnare il licenziamento con una PEC e un file Word in allegato
La Cassazione ha ritenuto valida l'impugnazione del licenziamento con tale modalità trattandosi di un atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore

Un lavoratore ha impugnato la decisione del giudice del lavoro che respingeva la sua richiesta di annullamento del licenziamento disciplinare inflittogli dal datore di lavoro.
La Corte d'Appello ha però confermato il verdetto del giudice di prima istanza.
Tutto ruotava attorno alla PEC inviata dall'avvocato del lavoratore al datore di lavoro, allegando un file Word contenente le contestazioni sul licenziamento. Secondo i giudici di merito infatti l'allegato alla PEC, essendo un semplice file Word, poteva essere modificato da chiunque. Era inoltre del tutto privo di firme e non dotato di alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge.
Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l'errata interpretazione dell'articolo 6 della legge n. 604/1966, poiché la Corte d'Appello non ha riconosciuto la validità del documento di impugnazione costituito dal file Word. In base alla tesi del ricorrente, l'opposizione al licenziamento può avvenire con qualsiasi atto scritto che esprima la volontà del lavoratore, senza necessità di formule particolari.
La Cassazione ha dato ragione al lavoratore, sottolineando che la forma scritta dell'impugnazione del licenziamento può essere soddisfatta con qualsiasi mezzo che trasmetta il documento scritto in maniera chiara al destinatario. Inoltre, l'assenza di firma non preclude la validità dell'atto, purché prodotto direttamente dalla parte stessa.
In poche parole, l'invio di una PEC da parte di un avvocato, con allegato un file Word, costituisce un mezzo legittimo per contestare un licenziamento, senza la necessità di trasmettere una copia cartacea del documento (Cass. civ., sez. lav., ord., 8 luglio 2024, n. 18529).