Cocaina nel bagno del ristorante: titolare condannata
Alcune strisce di cocaina sono state ritrovate nel bagno delle donne del locale. Il fatto è costato alla ristoratrice una condanna per il reato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti.

Palese per i Giudici la responsabilità della donna: se i clienti utilizzano il bagno del ristorante per consumare in tranquillità strisce di cocaina, sussiste la sua responsabilità penale per il reato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti.
I controlli effettuati in maniera occulta, anche grazie a riprese video, dalle forze dell’ordine nel ristorante hanno consentito di accertare l’esistenza di una prassi consolidata: il bagno delle donne era adibito a sala per il consumo di cocaina.
La proprietaria del ristorante finisce così sotto processo per aver tollerato la situazione e per i giudici di merito il quadro probatorio è inequivocabile. La ristoratrice viene quindi condannata per «aver consentito ai clienti (e ai dipendenti) di adibire il ristorante a luogo di convegno di persone che si davano allo spaccio e all’uso di sostanza stupefacente – tipo cocaina –, permettendo loro di spacciare e di consumare sostanze stupefacenti, anche in condivisione di gruppo, all’interno dei bagni del locale».
La difesa ritiene illogico parlare di «condotta soggettiva di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti». Nello specifico, con il ricorso in Cassazione afferma che «la mera tolleranza e l’osservazione di una cliente del locale fare uso di cocaina» non possono essere valutate come «prova della consapevolezza dell’uso di droga all’interno del locale e della volontà di agevolare tale consumo da parte della donna».
La Cassazione non condivide però questa ricostruzione e conferma la colpevolezza dell’imprenditrice, la quale, di fatto, a fronte di un consumo e uno spaccio di cocaina imponente, si è resa responsabile di «una gestione del locale non solo consapevole ma» anche «fruitrice della presenza dei consumatori quali clienti di un esercizio che forniva anche il servizio di predisposizione, nel bagno delle donne, di un vassoio con la cocaina».
Inequivocabile quindi «una piena consapevolezza, se non un’espressa predisposizione e ben oltre un tacito assenso, per consentire la normale abitudine di usare cocaina nel locale da lei gestito».
Secondo la legge, infatti, il reato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti incrimina la condotta di adibizione o consenso all’adibizione di un locale pubblico o di un circolo privato (o di un qualsiasi immobile, ambiente, veicolo) quale luogo di convegno per persone che ivi si ritrovano per usare stupefacenti.
Risulta irrilevante l’abitualità o meno della condotta di adibizione (o il consenso all’adibizione) del locale, la norma richiede solo la disponibilità del locale stesso e «si può realizzare anche mediante il mancato impedimento dell’uso di stupefacenti, atteso che i soggetti che dispongono di tali locali pubblici o circoli privati, evidentemente frequentati da più soggetti, hanno l’obbligo di impedire che questi ambienti vengano utilizzati per agevolare l’uso di stupefacenti».
Infine, quanto all’elemento soggettivo del delitto di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, anche nella forma omissiva, è necessario che il soggetto sia conscio dell’utilizzo del locale nella sua disponibilità quale sede di frequente ritrovo per il consumo di sostanze stupefacenti e si astenga dall’intervenire, nella consapevolezza dell’agevolazione che dal suo comportamento omissivo può derivare a tale uso.
In conclusione, nella vicenda in esame, è impossibile ottenere un ribaltamento del verdetto di colpevolezza (Cass. pen., sez. IV, dep. 17 luglio 2024, n. 28646).