Licenziamento disciplinare: criteri per capire la tutela applicabile al lavoratore

In tema di licenziamento disciplinare, la Corte di Cassazione ha chiarito che la sanzione espulsiva stabilita dal contratto collettivo o dal codice disciplinare non è sempre vincolante per il giudice

Licenziamento disciplinare: criteri per capire la tutela applicabile al lavoratore

Nel caso in esame la Corte di Cassazione si è occupata di un caso di licenziamento disciplinare per giusta causa riguardante un dipendente bancario.

Mentre il Tribunale, adìto dal lavoratore, aveva deciso per il suo reinserimento e il riconoscimento di un’indennità risarcitoria, la Corte d'Appello aveva parzialmente modificato questa decisione, riconoscendo sì il risarcimento, ma accanto alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Il dipendente aveva, quindi, impugnato la sentenza davanti alla Cassazione, sostenendo, fra gli altri motivi, che i giudici di secondo grado avessero interpretato in modo errato l'articolo 18 della legge n. 300/1970.

I Giudici, accogliendo tale motivo del dipendente, hanno precisato che le clausole generali sono strumenti validi per stabilire sanzioni conservatrici. Ciò significa che la reintegrazione deve essere considerata come un'opzione principale di tutela per casi di licenziamento illegittimo.

La Cassazione ha, inoltre, evidenziato che il giudizio della gravità delle azioni e della proporzionalità delle sanzioni è di competenza del giudice che deve individuare la tutela appropriata tra le disposizioni previste dall'articolo 18 della legge n. 300/1970. La sanzione espulsiva stabilita dal contratto collettivo o dal codice disciplinare non è, dunque, sempre vincolante per il giudice poiché è lui stesso a dover stabilire, nella sua attività sussuntiva e valutativa del caso concreto, il grado di gravità e di proporzionalità della condotta.

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