Terrapieno incombe su una casa privata: sindaco condannato
Il primo cittadino è ritenuto colpevole di omissione di atti d’ufficio per non avere provveduto a mettere in sicurezza il terrapieno

Terrapieno non in sicurezza, conseguente pericolo per una casa privata: sindaco colpevole di omissione di atti di ufficio. Nessun dubbio dei giudici (sentenza numero 31602 dell’1 agosto 2024 della Cassazione) sulle responsabilità del primo cittadino di un piccolo Comune abruzzese, responsabilità consistite non solo nel non provvedere a mettere in sicurezza un terrapieno incombente su una casa privata ma anche nell’avere definito, poi, parzialmente inagibile l’immobile, dando il ‘la’ alle procedure che hanno successivamente portato i Vigili del Fuoco ad imporre alla proprietaria – un’anziana signora – di abbandonare quella struttura. In sostanza, al sindaco è stato contestato di avere indebitamente rifiutato di porre in essere atti del proprio ufficio, ossia provvedere con urgenza all’esecuzione dei lavori necessari per la messa in sicurezza di un terrapieno, atti che per ragioni di sicurezza pubblica dovevano essere compiuti senza ritardo. E ciò, peraltro, nonostante le reiterate richieste della persona offesa, ossia la proprietaria dell’immobile esposto al terrapieno, riguardanti la grave situazione di pericolo incombente sulla propria casa, e nonostante l’intervento di una sentenza di condanna del Tribunale civile, sentenza con cui si imponeva al Comune di eseguire – a propria cura e spese – i lavori per la messa in sicurezza del versante a ridosso dell’abitazione della donna, e, infine, nonostante, da ultimo, le note con cui il Comando dei Vigili del Fuoco aveva segnalato la necessità di un urgente intervento, a fronte anche di una denuncia. Il quadro probatorio è sufficiente, secondo i giudici di merito, per ritenere il sindaco colpevole del reato di rifiuti di atto di ufficio, con pena fissata in nove mesi di reclusione. Sulla stessa lunghezza, poi, anche la Cassazione, con conseguente condanna definitiva del primo cittadino. Inequivocabile, sostengono i magistrati di terzo grado, la condotta tenuta dall’uomo in qualità di primo cittadino del piccolo Comune abruzzese. Innanzitutto perché l’obbligo incombente su di lui derivava non solo dalla sentenza del giudice civile, ma anche dall’obiettiva situazione di grave pericolo per la pubblica incolumità, come dimostrato dalle comunicazioni dei Vigili del Fuoco che intimavano al sindaco l’esecuzione dei lavori per la messa in sicurezza. Per meglio inquadrare la posizione del sindaco, poi, viene evidenziato dai giudici che egli non solo non ha rimosso la situazione di pericolo, nonostante le precise indicazioni dei Vigili del Fuoco, ma ha anche adottato un’ordinanza contingibile e urgente per decretare la inagibilità parziale della casa dell’anziana signora. Con questo provvedimento, quindi, non solo il Comune ha riconosciuto la sussistenza di una condizione di pericolo per l’incolumità della signora, e quindi la necessità di intervenire in via di urgenza, ma addirittura ha fatto ricadere le conseguenze della propria colpevole inerzia a carico della persona offesa, costringendola alla inagibilità parziale della sua abitazione, che peraltro non era oggettivamente praticabile, stante le ridotte dimensioni degli ambienti interni. Tanto che, in un successivo sopralluogo, i Vigili del Fuoco hanno imposto alla signora di lasciare la propria abitazione, nella evidenza che ella non poteva vivere in quelle condizioni. Impossibile, poi, secondo i giudici, sostenere la mancanza del requisito delle ragioni di sicurezza pubblica, poiché la possibile rovina di una abitazione (ancorché ad uso di una sola persona) certamente integra tale presupposto, dal momento che tali ragioni possono escludersi solo quando il pericolo concerna piccole strutture, di per sé inidonee a cagionare rischi per le collettività, come, ad esempio, una fontanella pubblica minacciante rovina.